Piazza San Marco, un milione di presenze.

Degrado a Venezia. Voragine nelle fondamenta.

Turisti in riposo sulla banchina di Rio terà S. Leonardo.

Il mercato di Rialto.

Turisti in una delle calli veneziane.

Una nave da crociera davanti al piazzale di San Marco.

Il tour in barca.

I cicheti veneziani

Una turista affamata

Vetrina veneziana.

Maschera veneziana

Bamboline in maschera.

Ca' Dario, la singolare facciata rinascimentale.

L'ex Molino Stucky, oggi Hôtel Hilton.

Spostamento di acqua al passaggio dei motoscafi. L'onda lunga
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Piazza San Marco, un milione di presenze.


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Degrado a Venezia. Voragine nelle fondamenta.


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Turisti in riposo sulla banchina di Rio terà S. Leonardo.


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Il mercato di Rialto.


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Turisti in una delle calli veneziane.


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Una nave da crociera davanti al piazzale di San Marco.


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Il tour in barca.


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I cicheti veneziani


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Una turista affamata


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Vetrina veneziana.


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Ca' Dario, la singolare facciata rinascimentale.


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L'ex Molino Stucky, oggi Hôtel Hilton.


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Spostamento di acqua al passaggio dei motoscafi. L'onda lunga


Venezia e il turismo

Venezia è ammalata di troppo turismo , ed un consumo della città, anche fisico, ne sta intaccando inequivocabilmente le radici. È chiaro a chiunque che un’altra Venezia si è sovrapposta alla città tradizionale, portando con sé i segni di un disagio sempre più profondo e visibile, che si affianca ai mali che da sempre si è abituati a riconoscerle (il degrado fisico , le acque alte, lo spopolamento, il turbamento dell’equilibrio lagunare).
È l'altra città che si percepisce muovendosi a fatica fra le calli ed i campi invasi da folle strabocchevoli di turisti, rasentando vetrine stracolme di finti vetri di Murano, maschere di Carnevale, magliette e cappellucci da gondoliere, insegne straripanti che inneggiano ad hôtel, pensioni, ristoranti, pizzerie, aggrediti fin dall’arrivo da intromettitori che ci propongono sistemazioni, circuiti , serenate.
Il male di Venezia tuttavia non è solo epidermico: i segni – la folla, le insegne, il consumo effimero – sono manifestazioni visibili di un fenomeno che ha radici più profonde, che lavora sotto la scorza della città, che ne modifica il senso, in forme inedite e sempre più invadenti. Un fenomeno che interagisce sempre più pesantemente con la vita e le attività di chi risiede o lavora stabilmente a Venezia: sia perché il turismo si è andato radicalmente modificando in questi ultimi anni, e da elitario e sporadico qual era per antica tradizione – il turismo c’è sempre stato a Venezia – è divenuto fenomeno di massa e continuo, con caratteri e manifestazioni inedite; e sia perché la città si è adeguata a questo intenso e rapido mutamento, generando quell’altra immagine di se stessa che le si sovrappone.
Tutto ciò dà luogo a pesanti ed acuti conflitti con la città: come la trasformazione del commercio e dell’artigianato, ed il manifestarsi di una congestione sempre più elevata.
Il turismo pendolare non cerca ricettività ed iniziative culturali, ma soprattutto il soddisfacimento di esigenze di ristoro e di consumo (dal panino all’acqua minerale, e al WC). L’intensa presenza di visitatori frettolosi e a maggior ragione disposti a portare con loro qualche “pezzo di Venezia” ha indotto lungo i tracciati dei percorsi turistici, o nei punti degli accessi alla città, una profonda trasformazione del commercio. I negozi e le botteghe abbandonano i settori tradizionali, sempre meno remunerativi per la diminuzione della domanda dei residenti, specializzandosi nella vendita di oggetti legati al consumo turistico , a loro volta prodotti su scala sempre più ampia fuori della città, e comunque da un artigianato che ha perso la qualità della tradizione, ed acquisito la banalità del consumo di massa.
Le vetrine si vanno così riempiendo di paccottiglia turistica, vetri, magliette, ricordi, cartoline, bambole , guide, foulards, cappelli, gondole, maschere , merletti, ventagli; quando i negozi non bastano più, sciami di bancarelle e di trespoli invadono calli, campi, sottoportici e fondamenta, e perfino i luoghi deputati del più antico commercio cittadino , come il Mercato di Rialto, insinuandosi fra gli antichi banchi delle verdure e del pesce. Mentre gli spazi pubblici si riempiono di tavolini sedie ed ombrelloni di fronte alle migliaia di ristoranti, pizzerie, locali per la consumazione di cibi pronti e preconfezionati.

Ne consegue un aumento sensibilissimo della congestione, che è l’altro rilevante e visibile fenomeno indotto dal turismo. Venezia è già di per sé una città con una densità edilizia elevatissima, con strade e calli assai strette, anche nei punti di maggior passaggio. Succede quindi che nei mesi del più elevato afflusso turistico a Venezia non si circoli più; si fatica enormemente ad entrare nella città, ed assai spesso anche ad uscirne; e nelle aree più centrali chi deve muoversi agilmente per recarsi in qualsiasi luogo, è bloccato dalle folle strabocchevoli che intasano le calli, impedendovi la circolazione.

Ma i disagi della congestione non riguardano soltanto il centro. Venezia come si sa ha una sola area di contatto con le strade di terraferma, e cioè Piazzale Roma, dove finisce il ponte traslagunare e il traffico automobilistico si arresta; un’area che viene spesso occupata dallo stazionamento di grossi pullman turistici che vi scaricano masse enormi di visitatori, compromettendone l’indispensabile funzione di punto di arrivo e partenza per la città e le sue attività quotidiane. Tutto il traffico automobilistico di entrata e di uscita si scarica sul ponte che serve Venezia: succede quindi spesso che la mattina del sabato e della domenica, quando la città comincia a riempirsi di turisti (la maggiore affluenza avviene fra le 10 e le 11), e soprattutto la sera, quando si svuota (fra le 17 e le 19), la circolazione si paralizza, con la formazione di code lunghissime; a Venezia non si entra più, e non se ne esce, per ore.

A poco servono infatti i parcheggi di terraferma, perché la gran massa dei turisti tende ad arrivare con il proprio mezzo nel punto più prossimo a Venezia.
Il caos che ne deriva è enorme, anche perché questo afflusso ininterrotto induce altri cospicui e degradanti fenomeni, come la abnorme proliferazione di botteghini e bancarelle all’isola del Tronchetto e a Piazzale Roma, e l’aggressivo affollarsi di intromettitori che accalappiano le auto in arrivo per indirizzarle verso parcheggi abusivi, ammassano poi gli inconsapevoli turisti su imbarcazioni anch’esse abusive per scaraventarli in pochi minuti a San Marco, e poi in qualche vetreria a Murano.
Ma l’affollamento intasa anche i trasporti pubblici, e non è raro essere costretti a rinunciare a servirsi delle linee di vaporetti e di motoscafi che percorrono il Canal Grande, specie se occorre salirvi agli imbarcaderi di S. Marco e di Rialto, per l’impossibilità fisica di accedervi. Anche in questo caso, il fenomeno non interessa solo il centro: d’estate, soprattutto nei giorni in cui le condizioni atmosferiche sono meno buone, molta parte del turismo che staziona nel litorale di Jesolo e del Cavallino si riversa nella città insulare intasando i battelli che arrivano a S. Zaccaria; con l’inevitabile congestione del terminal di Punta Sabbioni, come a Piazzale Roma e al Tronchetto, ed il caos funzionale e visuale della Riva degli Schiavoni, dove nei mesi estivi l’afflusso turistico è addirittura maggiore di quello che si registra alla stazione ferroviaria.

La conseguenza tangibile di queste vaste trasformazioni economiche e funzionali è il degrado crescente nell’immagine complessiva della città. Ma vi sono anche gli effetti di un consumo materiale della città. La grande massa dei turisti sporca infatti indecentemente Venezia: basta recarsi a Piazza S. Marco al termine di un week-end estivo per rendersi conto della quantità di rifiuti lasciati dai visitatori, solo in parte raccolti nelle miriadi di bidoni della spazzatura che oramai punteggiano i luoghi più celebrati della città; inevitabile incontrarli ormai in prossimità di scale, monumenti, ponti, basamenti, rive di canali, dove ci si possa sedere per una sosta o per consumare qualche rapido pasto. Per arrivare, come nelle punte del massimo scatenamento collettivo, a Carnevale per esempio, ad un danneggiamento anche fisico dei monumenti.

Ma il consumo della città viene anche dall’acqua, per il deterioramento provocato dall’intenso moto ondoso dei motoscafi indotti a muoversi più rapidamente possibile per trasportare il maggior numero di turisti. Un deterioramento che intacca le radici degli edifici nei canali interni della città, e dissolve poco a poco i banchinamenti delle fondamenta maggiori: come alle Zattere, e sul Canale della Giudecca che è il tramite più frequentato per i rapidi spostamenti dei motoscafi dai terminal a S. Marco.
Per non parlare degli effetti devastanti provocati dal passaggio delle navi da crociera lungo il bacino di S. Marco fino alla Stazione Marittima. Un fenomeno di questi ultimi anni, legato alla crescita del mercato delle crociere, che ha fatto di Venezia uno degli scali più richiesti: a condizione che le navi transitino davanti a S. Marco, un’offerta ben evidenziata nei pacchetti delle agenzie turistiche. Navi dalle dimensioni mostruose, che sovrastano con la loro mole il profilo della città insulare, ma che soprattutto provocano al loro passaggio lo spostamento di enormi masse d’acqua, generando correnti intensissime che si propagano fino ai canali più interni della città.

Il quadro sociale ne è complessivamente condizionato: il turismo trasforma infatti i comportamenti introducendo dall’esterno nuovi modelli di consumo, inducendo il cambiamento di mestieri , interferendo sui modi di vita abituali, occupando gli spazi della cultura. Molte delle manifestazioni culturali, mostre, concerti, convegni, hanno avuto certamente l’effetto desiderato di prolungare la stagione turistica fino ai mesi invernali, ma non certo ridistribuendo le punte estive nell’arco dell’anno, quanto piuttosto richiamando nei periodi meno favoriti altri turisti, o inducendo gli stessi ad un ritorno nella città.

Vi sono poi nuovi mestieri senza identità culturale, che si generano in presenza della domanda turistica: finti gondolieri e approssimativi musicanti per le serenate notturne (ma che oramai si tengono in tutte le ore del giorno), albergatori e pizzaioli improvvisati, intromettitori aggressivi, venditori esosi di cibi e bevande nei luoghi della massima frequentazione, abili spacciatori di paccottiglia camuffata per artigianato locale.
Ma vi è un fatto ancora più grave: questo nuovo consumo della città interferisce negativamente con uno dei problemi più acuti di Venezia, quello della casa. La città si è fortemente spopolata in questi ultimi decenni, perdendo complessivamente più di centomila abitanti.

Ciò è avvenuto per varie ragioni, dipendenti anche dal fatto che il turismo ha sottratto spazi ed edifici all’uso abitativo normale, con il risultato che le case disponibili sono diventate sempre più rare: trasformate in locande, pensioni, alberghi, bed and breakfast, dapprima nei luoghi di maggior attrazione turistica o in prossimità della stazione ferroviaria e di Piazzale Roma, ma poi, poco alla volta, in tutta la città.
È un fenomeno che sta avendo oggi una fortissima virulenza. Si manifesta attraverso lo spezzettamento interno di tanti edifici in miriadi di miniappartamenti offerti a un mercato vitalissimo di stranieri e foresti interessati ad una seconda casa a Venezia; o con il trasformarsi di case e palazzi in residenze stagionali di università straniere, o in abitazioni prestigiose di facoltosi “innamorati di Venezia”, o in sedi di rappresentanza di società e sponsor attratti dal sicuro successo commerciale dell’immagine di Venezia.
Occorre inoltre considerare che molti edifici ed abitazioni rimangono ancora chiusi ed inutilizzati, in attesa di essere collocati in questo nuovo genere di mercato immobiliare, di gran lunga più remunerativo di quello tradizionale; e che quelli disponibili – ma solo per “non residenti” – raggiungono per effetto dello stesso meccanismo di mercato costi assolutamente inaccessibili. Si comprende assai bene allora come la possibilità di accedere ad una abitazione, per i residenti o per coloro che vorrebbero diventarlo, sia diventata impossibile.
Di fronte a fenomeni così invasivi, si cercano di tanto in tanto misure di protezione; con il limite tuttavia di considerare il turismo come un fenomeno incontrollabile, in perenne e naturale espansione, come l’unica vera risorsa economica per la città; arrestabile, se mai occorrerà, solo nelle sue manifestazioni finali.
Ma è davvero così? Quell’altra Venezia cui si è accennato è la conseguenza stessa dell’idea di Venezia che si è voluta coltivare ed esportare. E che ha visto nei decenni passati la contesa fra le istituzioni pubbliche nell’accaparrarsi tutti gli immensi spazi dell’effimero, impegnate in un inedito dispiego di risorse, denaro ed energie fra carnevali e teatri galleggianti, mostre e spettacoli tesi ad attirare il maggior numero possibile di visitatori e a prolungare nel tempo il periodo del loro soggiorno veneziano, non esitando barattare con sponsor astuti ed “illuminati” il marchio Venezia.
E sprecando occasioni preziose: come nelle recenti nuove urbanizzazioni della Giudecca, legate in più dei casi al riuso di complessi industriali abbandonati (dalla Junghans al Mulino Stucky), dove il cospicuo incremento abitativo, non assecondato da una politica a favore della residenzialità, e governato da un troppo labile convenzionamento con i privati, ne ha favorito l’acquisizione da parte di stranieri non residenti, o di intermediari che ne fanno case da affitto per turisti.
Il tema della residenza non è stato evocato per caso. Se Venezia deve difendersi dal troppo turismo, non può pensare di farlo con interventi di settore, e agendo solo sulla coda del fenomeno: una politica orientata a favorire la residenzialità della città insulare, con un governo più efficace delle trasformazioni d’uso del patrimonio edilizio esistente, con un uso oculato delle aree ancor libere, con l’utilizzazione più efficace del patrimonio abitativo pubblico, può svolgere un ruolo assai importante, garantendo vitalità a servizi e settori economici che altrimenti sono destinati a sparire.
Venezia è in attesa di un’inversione di tendenza, che dimostri che quella svendita della città cui si è passivamente assistito in questi ultimi decenni è terminata. E che, come tutte le città del mondo, è fatta soprattutto per chi ci vive: che non negherà di certo l’ospitalità a chi vuol visitarla.

Franco Mancuso


1800 - 2000 - fino ad oggi - rev. 0.1.36

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