La Porta della Carta, Venezia, Palazzo Ducale.

Carlo Magno incoronato imperatore dal Papa Leone III.

Antica veduta di Costantinopoli e dello stretto dei Dardanelli, Venezia, 1687.

L'Italia bizantina e longobarda.

Venezia e la Costa Dalmata nel X secolo.

Gonfalone della Repubblica di San Marco.

Il doge Enrico Dandolo e i crociati giurano fedeltà nella basilica di San Marco (part.). Saraceni-Leclerc, Venezia, Palazzo Ducale, sala del Maggior Consiglio.

Stemma del Doge Pietro Polani.

Sala del Maggior Consiglio, Venezia, Palazzo Ducale.

Sala del Senato, Venezia, Palazzo Ducale.

Ducato grosso d'argento.

Ducato d'oro del XIII secolo.

Galeazza da combattimento.

Battaglia di Agnadello con schieramenti.
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La Porta della Carta, Venezia, Palazzo Ducale.


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Carlo Magno incoronato imperatore dal Papa Leone III.


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Antica veduta di Costantinopoli e dello stretto dei Dardanelli, Venezia, 1687.


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L'Italia bizantina e longobarda.


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Venezia e la Costa Dalmata nel X secolo.


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Gonfalone della Repubblica di San Marco.


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Il doge Enrico Dandolo e i crociati giurano fedeltà nella basilica di San Marco (part.). Saraceni-Leclerc, Venezia, Palazzo Ducale, sala del Maggior Consiglio.


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Stemma del Doge Pietro Polani.


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Sala del Maggior Consiglio, Venezia, Palazzo Ducale.


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Sala del Senato, Venezia, Palazzo Ducale.


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Ducato grosso d'argento.


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Ducato d'oro del XIII secolo.


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Galeazza da combattimento.


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Battaglia di Agnadello con schieramenti.


La formazione di uno Stato dai caratteri peculiari

Il percorso che portò l’area lagunare della tarda antichità e del primo medioevo a divenire uno stato di crescente rilevanza fu tanto complesso quanto lungo. Si trattò di ribaltare antichi equilibri trasformando un territorio assolutamente marginale in un organismo che, nel giro di alcuni secoli, seppe collocarsi fra le grandi potenze europee.Tutta la fase di primo sviluppo della città e dello stato veneziano si svolse nel quadro di vicende turbate, il cui effettivo avvio per quanto riguarda le origini di Venezia si colloca al tempo della venuta dei longobardi nel 568, quando le lagune restarono nell’ambito dell’Impero Bizantino mentre il resto dell’Italia vedeva la progressiva espansione del regno longobardo e poi nel 774 la conquista franca. In tutta questa fase l’arco alto-adriatico da Grado a Cavarzere (ossia quello che sarebbe divenuto il Dogado veneziano) rimase legato a Costantinopoli nel ruolo di sua provincia sempre più lontana da una capitale che stava perdendo irrimediabilmente peso nelle vicende italiche.

Furono secoli di subordinazione per la nascente Venezia, alla quale peraltro conveniva dipendere da una dominante lontana e quindi sempre meno in grado di interferire, piuttosto che da poteri più vicini ed invadenti. In questo senso un momento critico si ebbe all’inizio del secolo IX, al tempo di Carlo Magno e del suo conflitto con l’impero bizantino, quando le lagune furono vicinissime ad una conquista da parte del grande sovrano franco. Un tale evento avrebbe riassorbito Venezia in un Occidente di terraferma e di cultura feudo-vassallatica, interrompendo quella sua proiezione marittima che ne stava caratterizzando lo sviluppo. La permanenza nella sfera bizantina garantita dall’esito del conflitto con i franchi aveva una conseguenza molto importante anche per l’assetto degli equilibri lagunari. Infatti la capitale della provincia veneta che era passata nel corso degli anni dall’antica Aquileia a Oderzo (sempre in terraferma), poi a Eracliana Cittanova (ai margini della laguna) e quindi a Malamocco (sui lidi, verso il mare), si trasferiva nell’810-811 sugli isolotti raccolti intorno a Rialto, dove stava nascendo Venezia-città.

La soggezione a Costantinopoli implicava conseguenze e vantaggi importanti non soltanto sul piano politico, ma anche in ambito economico, commerciale e culturale. Significava essere strutturalmente collegati ad un mondo che rispetto all’Occidente e alla sua terraferma era decisamente più sviluppato e ricco, garantendo con ciò la partecipazione ad un commonwealth in grado di assicurare fra l’altro la prosecuzione degli sviluppi già positivamente avviati, anzitutto quelli verso sempre più ampie autonomie di fatto. Per la verità la storiografia veneziana fin dai suoi primi passi ha insistito su una libertà originaria del Dogado: il mito della nascita in luoghi deserti e selvaggi ne era la base. Se – come si pretendeva – Venezia era sorta dal nulla tra acque prive di ogni subordinazione, questo comportava il diritto ad una indipendenza assoluta, goduta da sempre. In realtà le lagune erano state parte integrante della provincia romana della Venetia et Histria, dunque inserite nel quadro politico dell’Impero Romano e ancora nel secolo X Bisanzio avrebbe potuto legittimamente spedire una commissione d’inchiesta per controllare che la sua lontana provincia alto-adriatica rispettasse gli obblighi a cui era tenuta (in particolare: il divieto del commercio con i nemici saraceni).

La dipendenza da Bisanzio era tuttavia sempre più caratterizzata da larghi margini di autonomia e Venezia da suddita diveniva di fatto alleata. Le azioni contro slavi e saraceni già dal secolo IX e poi nel X indicavano la crescita di un ruolo che nel Mediterraneo stava prendendo il posto di quello svolto un tempo dalla flotta bizantina. Il doge, soprattutto dopo la conquista longobarda di Ravenna , nel 751, era sempre meno il rappresentante del potere di Costantinopoli e sempre più l’esponente dell’autonomia venetica, e il processo risultava ormai totalmente compiuto – nei fatti – al tempo del grande doge Pietro II Orseolo (991-1009) che nell’anno 1000, dopo una fortunata spedizione navale, assumeva il titolo di dux Veneticorum et Dalmaticorum, dunque doge della Dalmazia oltre che di Venezia .

La crescita dell’autonomia politica aveva marciato in parallelo con lo sviluppo economico e istituzionale. Gradualmente Venezia aveva assunto il ruolo di elemento di raccordo fra aree economiche, politiche e culturali diverse, collegando l’Europa cristiana con le civiltà bizantina e islamica, nei confronti delle quali l’Occidente si presentava come zona di sottosviluppo. Già nei secoli IX e X le navi veneziane si muovevano senza problemi nel Mediterraneo e come segno di questa presenza rimangono le spoglie dell’evangelista Marco, trafugate nell’828 da Alessandria d’Egitto da mercanti veneziani che là si trovavano nonostante le restrizioni al commercio con i saraceni. Il culto marciano diventava da allora il punto di riferimento etico-politico dello stato lagunare.

Il precoce sviluppo economico si accompagnò ad un perfezionamento delle strutture istituzionali che stavano dando corpo ad uno stato solido e con caratteri peculiari. Anzitutto col passare del tempo l’antica dipendenza da Bisanzio aveva ceduto il passo ad una piena indipendenza ed anzi, durante la stagione delle crociate, la deviazione della Quarta Crociata avrebbe portato nel 1204 addirittura alla conquista di Costantinopoli e alla temporanea fine dell’Impero bizantino, il cui posto era preso da un Impero Latino d’Oriente nato e cresciuto sotto controllo veneziano e il doge aveva allora assunto il titolo di dominator, cioè signore, «di una quarta parte e mezzo dell’Impero», ossia dei tre ottavi che corrispondevano alla quota assegnata a Venezia al momento della spartizione dei territori fra le truppe crociate.

La figura del duca (ossia il doge, per dirla alla veneziana) al suo apparire era stato il rappresentante del potere imperiale bizantino per poi trasformarsi gradualmente nel simbolo dell’autonomia e, in seguito, dell’indipendenza di Venezia. Per la verità, il secolo X aveva vissuto una fase in cui la carica tendeva ad assumere connotazioni dinastiche (con le famiglie dei Candiano e degli Orseolo), ma la crescita istituzionale era in seguito coincisa con una progressiva riduzione del potere dogale, con sviluppi orientati a fare del doge il simbolo della sovranità dello stato limitandogli sempre più drasticamente i poteri. Doveva, in sostanza, divenire l’immagine vivente di quello che davvero importava, ossia lo Stato. Così fin dal XII secolo a fianco del doge cresceva il ruolo di altri organismi istituzionali.

Una data fondamentale in questo percorso fu il 1143, quando accanto al doge Pietro Polani e ai suoi giudici comparve un «consiglio di sapienti» destinato a curare «l’ordine, l’utile e la sicurezza dello stato». Quasi contemporaneamente (nel 1144) si parlò di «Comune», come in molti altri luoghi dell’Italia centro-settentrionale, ma l’esperienza veneziana crebbe con caratteristiche sue proprie, evidenti anzitutto nel fatto che la carica di chi ne era al vertice, il doge, era vitalizia e non di breve durata (di solito annuale) come dovunque altrove. Intanto il Maggior Consiglio aveva preso il posto decisivo del vecchio «consiglio dei sapienti» nelle funzioni legislative e di delibera. Il Minor Consiglio, più agile, affiancava il doge nelle competenze specifiche dell’esecutivo. E altre magistrature si venivano affermando, come gli Avogadori di Comun tenuti a difendere i diritti pubblici e della legge, o i Giustizieri che controllavano le Arti, le corporazioni di mestiere, in fase di crescita. Per restare alle funzioni principali, vanno poi ricordati la Quarantia (o Consiglio dei Quaranta), prima organo consultivo poi tribunale d’appello e vertice delle funzioni giurisdizionali, e soprattutto il Consiglio dei Rogati (il Senato) che crebbe di peso diventando la vera anima della Repubblica.

Il sistema politico-istituzionale giunse a una svolta decisiva in senso oligarchico verso fine Duecento, quando si definirono i requisiti per l’accesso al Maggior Consiglio. Il provvedimento, benché assunto con lo scopo di allargare la partecipazione a quell’organismo, nei fatti – determinando quali famiglie potevano farne parte – si rivelò come operazione di effettiva chiusura, tanto che rimane noto come «serrata del Maggior Consiglio». In ogni caso e quali ne fossero i presupposti, da quel momento il corpo sovrano veneziano era diventato ereditario connotando lo stato come aristocratico.

A caratterizzare tanto l’aristocrazia quanto l’intera Repubblica salita a potenza imperiale nel corso del Duecento c’era una forte cultura mercantile. Le fortune di Venezia furono sin dall’origine legate al mare e ai commerci e il ceto dirigente veneziano non ebbe mai remore nel presentarsi come tale, a differenza di quanto avveniva tra le aristocrazie di terraferma, presso le quali l’uso del denaro e la pratica del commercio per tutti i secoli iniziali e centrali del medio evo (fino alla ripresa economica, alla rinascita delle città e alla cultura dei borghi: quella “borghese” in senso proprio) furono considerati disdicevoli e motivo di scarso prestigio. La precocità di Venezia su questo piano si intende ricordando, ad esempio, come addirittura nell’828 il doge (era Giustiniano Particiaco) non avesse il minimo problema nell’indicare nel suo testamento una forte somma di denaro investita in imprese commerciali oltremare: vero e proprio capitale di rischio.

La pratica dei commerci, con una funzione di interscambio e mediazione fra aree lontane piuttosto che di produzione, fece presto del mercato di Rialto una delle massime piazze finanziarie del tempo e le monete veneziane (specialmente il denaro “grosso” d’argento battuto da inizio secolo XIII e il ducato d’oro emesso nel 1284) ebbero circolazione dovunque. L’Arsenale fu a lungo la più grande fabbrica del tempo e la Repubblica si preoccupò anche di organizzare i commerci attraverso un intervento diretto assai attento ed efficace, per esempio organizzando quelle spedizioni navali, quei convogli (le “mude”) che periodicamente partivano specialmente per il Levante e poi anche per le coste del Mediterraneo occidentale e su fino all’Inghilterra e le Fiandre, in una funzionale combinazione fra intervento e indirizzi del pubblico potere e partecipazione dei privati.

Questo efficace intreccio fra pubblico e privato è un altro elemento peculiare della lunga storia di Venezia, che seppe ottenere da parte dei sudditi un’adesione senza molti riscontri. Il dato, apparentemente strano se si considera il carattere oligarchico dell’apparato statale, si spiega con la capacità di una conduzione della cosa pubblica in termini largamente accettabili dalle popolazioni, nella logica di quel “buon governo” salito quasi a mito connotante la Repubblica marciana. Certo è che la solidità dello stato costruito nei secoli medievali consentì anche in seguito il superamento dei momenti più difficili, come nel 1509, al tempo della Lega di Cambrai, quando a fronte di mezza Europa in armi e dopo la disastrosa sconfitta di Agnadello , Venezia seppe riprendersi da un colpo che per diffusa convinzione appariva mortale.

Tutto sommato, si può dire che in situazioni del genere risultò decisiva la solidità della Repubblica, sostenuta dalla percezione diffusa che anche i vantaggi personali potevano essere meglio garantiti da uno stato robusto e ben regolato. In questa ottica (e senza dover chiamare in causa amori di patria o quei buoni sentimenti che non paiono davvero essere il motore della storia) la stessa cultura mercantile della società veneziana portava a riconoscere la coincidenza tra bene comune e interessi individuali. Naturalmente l’ambiente veneziano così come le strutture in cui seppe organizzarsi ebbero caratteri estremamente complessi, articolati, spesso contraddittori, ma il sistema complessivo seppe funzionare e reggere tenendo in piedi la Repubblica per circa un millennio, trovando il suo fulcro in una città che fu a lungo una delle massime metropoli d’Europa e ancora oggi, nonostante la si sia voluta ridurre a quartiere di un centro urbano fortemente di terraferma, costruito a tavolino in era fascista, rimane un esempio straordinario di città nel senso più pieno del termine.

Gherardo Ortalli


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