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La Convenzione del 1972

Venezia, insieme alla sua laguna, è inserita nella Lista del patrimonio mondiale culturale e naturale “di eccezionale valore universale”, istituita in base alla Convenzione del 1972 e periodicamente aggiornata a cura di Organi che operano in seno all’UNESCO, Agenzia specializzata delle Nazioni Unite che si occupa di questioni internazionali nei campi dell’istruzione, della scienza e della cultura. Questa affermazione, particolarmente altisonante, è corretta, ma il suo vero significato potrebbe essere facilmente frainteso. L’importanza, per gli Stati, di “essere nella Lista” non è – come si potrebbe pensare - una questione di prestigio internazionale per il semplice fatto di racchiudere nel proprio territorio uno o più beni immobili di riconosciuta importanza internazionale. L’esistenza del bene iscritto, infatti, non è né merito, né interesse, del solo Stato in cui esso è situato: secondo la Convenzione, il bene può essere riconosciuto “di eccezionale valore universale” in quanto risultato dell’opera dell’ingegno umano, o della natura, o di questi due “autori” congiuntamente ed è interesse dell’umanità tutta intera. L’eventuale merito – e dunque il prestigio – dello Stato non consiste nel “possedere” il bene, bensì nel saperlo proteggere, conservare e valorizzare per sé e per tutti gli altri Stati della Comunità internazionale.
Questa è la logica che ispira tutte le Convenzioni promosse dall’UNESCO per la protezione del patrimonio culturale, che ormai costituiscono, nel loro complesso, un sistema tendenzialmente completo di protezione. Elaborate nel tempo a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, in modi e forme diverse, tutte gettano luce su un problema specifico (protezione dei beni culturali in tempo di guerra (1954), contrasto alla circolazione internazionale illecita dei beni culturali mobili (1970), protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale (1972), patrimonio culturale subacqueo (2001), patrimonio culturale intangibile (2003) e diversità delle espressioni culturali (2005), nella comune convinzione che i beni culturali vanno protetti in base al diritto internazionale perché, nelle parole della convenzione del 1954, “un danno subìto da un bene culturale che appartiene a un qualsiasi popolo significa danno al patrimonio culturale dell’umanità, poiché ogni popolo dà il suo contributo alla cultura del mondo”.


1. L’”eccezionale valore universale” dei siti iscritti nella Lista della Convenzione

In questo sistema, la Convenzione del 1972 sul patrimonio mondiale è particolarmente famosa. Essa da un lato ha avuto un grande successo tra gli Stati (conta più di 180 Parti contraenti, ossia quasi tutti gli Stati del mondo), d’altro lato ha una forte “presa” sull’opinione pubblica, in quanto richiama alla mente la storica lista delle meraviglie del mondo proposta da Filone di Bisanzio nel II secolo a.C. (recentemente tornata all’attenzione della cronaca perché sottoposta ad “aggiornamento” su base di una consultazione mediatica, via internet). La Convenzione, infatti, ha previsto l’istituzione e l’aggiornamento di una Lista del patrimonio mondiale culturale e naturale di cui sia riconosciuto l’”eccezionale valore universale”. Dell’aggiornamento della Lista è incaricato un Comitato intergovernativo.
Ma cosa significa “eccezionale valore universale” ai fini della Convenzione? E’ davvero una specie di “attestazione di valore assoluto” di cui fregiarsi nei confronti dell’universo mondo? E come si procede all’iscrizione?
Che la Lista non possa essere assimilata a quella, storica, delle “sette meraviglie” del mondo antico è evidente: essa, infatti, conta ormai più di 800 beni, tra culturali, naturali e misti. D’altra parte la Convenzione, come tutti i trattati internazionali, è stata conclusa per far nascere diritti ed obblighi in capo agli Stati che decidono, attraverso lo strumento formale della ratifica, di assumersi la responsabilità del suo rispetto. L’UNESCO, quando la ha concepita e promossa, non intendeva dichiarare, con la forza della sua autorevolezza, che alcuni posti sono più importanti di altri grazie alle loro caratteristiche culturali e naturali, bensì intendeva creare uno strumento che potesse incitare ed aiutare gli Stati, singolarmente e collettivamente considerati, ad assumersi delle responsabilità nei confronti del proprio patrimonio culturale e naturale. Il singolo Stato territoriale in cui è localizzato ciascun sito dichiara di volersi assumere tale specifica responsabilità già a partire dal momento in cui richiede al Comitato l’iscrizione nella Lista e la collettività degli Stati parti della Convenzione la assume nel momento in cui il Comitato, sulla base della richiesta, decide di procedere all’iscrizione.
Le parole “eccezionale valore universale”, dunque, sono un modo per esprimere il concetto che tutti i siti iscritti nella Lista, ovunque siano nel mondo e nonostante le innumerevoli, importanti differenze che presentano tra loro per i più svariati motivi storici o geografici, corrispondono a degli standard comuni, accennati nella Convenzione stessa e specificamente descritti nel suo regolamento di esecuzione (le “Operational Guidelines”). Tali standard sono espressi nella forma di dieci “criteri di valutazione”, servono a scegliere siti rappresentativi del loro genere ed a rendere quanto più possibile oggettivo il giudizio insindacabile del Comitato di iscrivere o meno un sito nella Lista. Attualmente, il Comitato sta cercando di “riequilibrare” la Lista, nella quale sono palesemente sottorappresentate alcune tipologie di beni (in particolare quelli naturali) ed alcune aree geografiche del mondo. Tale “squilibrio” – che, naturalmente, non va valutato in meri termini numerici - va ascritto principalmente alle selettive condizioni di integrità che i siti naturali devono presentare ed alle ingenti risorse finanziarie che servono a predisporre i dossier per la domanda di iscrizione dei siti.
Il “titolo” che viene dato al bene ai fini dell’iscrizione riflette la qualità dei criteri di iscrizione che si sono ritenuti applicabili al caso di specie. “Venezia e la sua laguna” è un titolo che esprime l’estrema ricchezza dei valori che il Comitato ha riconosciuto come presenti nel sito veneziano. Il titolo sta, infatti, a significare che in questo caso tutta la città è di interesse per la Convenzione, e non solo il suo “centro storico” o alcuni specifici monumenti; non solo, ma insieme alla città, in quanto da essa inseparabile quanto a ragioni di interesse internazionale, è iscritta la sua laguna (dice l’ICOMOS - organo consultivo del Comitato per i beni culturali - che “la coerenza geografica, storica ed estetica di tutto l’insieme non lascia dubbi”).


2. Completezza e complessità del sito di “Venezia e la sua laguna”

Se analizziamo i criteri in base ai quali il Comitato ha deciso di iscrivere Venezia nella Lista del patrimonio mondiale, ci rendiamo perfettamente conto di come essi riflettano la completezza e complessità del sito che veniva iscritto. Nessun altro dei siti italiani, finora, può, come Venezia, “vantare” di essere stato iscritto in base a tutti e sei i possibili criteri che, secondo le Operational guidelines (http://whc.unesco.org/archive/opguide 08-en.pdf ) sulla descrizione di Venezia servono a valutare il rilievo culturale del bene. Per i centri storici di Roma e Firenze e la città di Assisi, ad esempio, sono stati usati tutti i criteri culturali ad eccezione di quello che serve a designare gli “esempi eccezionali di insediamenti umani tradizionali, utilizzo della terra o utilizzo del mare che siano rappresentativi di una cultura (o culture) o di interazione umana con l’ambiente, in particolar modo quando è divenuta vulnerabile a causa di cambiamenti irreversibili”. L’iscrizione della città di Ferrara, invece, assomma tutti i criteri culturali tranne il primo, che serve a designare i “capolavori del genio creativo umano”, ma ha raggiunto tale risultato solo in un secondo momento, quando i confini della originaria iscrizione sono stati estesi fino a ricomprendere il delta del Po. L’iscrizione di Venezia, al contrario, non solo è subito avvenuta a titolo di tutti e sei i criteri culturali, ma è anche stata salutata con grande soddisfazione dal Comitato e dai suoi organi consultivi, che avrebbero voluto poterla iscrivere prima. L’iscrizione, infatti, è avvenuta nel 1987, nove anni dopo la ratifica della Convenzione da parte dell’Italia, perché solo nel 1986 ne è stata presentata richiesta dallo Stato italiano (il Comitato non può iscrivere nuovi beni senza richiesta dello Stato e la predisposizione del dossier per la domanda di iscrizione è tanto più complessa quanto più il sito è complesso).
Un elemento importante che caratterizza il sito di Venezia, oltre, naturalmente, agli aspetti monumentali, architettonici, artistici e paesaggistici, è, dunque, costituito dall’”elemento naturale” della laguna, che viene in rilievo, però, in questo caso, non per le sue caratteristiche naturalistiche, bensì per la sua connotazione culturale, legata al risultato dell’interazione tra uomo e natura nel tempo. Se, da un lato, l’elemento naturale contribuisce all’interesse ed al fascino del sito, ne rappresenta indubbiamente anche un elemento di fragilità. Il Comitato, tramite i suoi organi consultivi, segue le vicende relative alle opere, come il MOSE, progettate e/o intraprese per fronteggiare le principali minacce alla conservazione del sito che derivano dall’evolversi dei fattori naturali.
Oltre allo specifico elemento di complessità costituito dalla situazione delle acque della laguna, Venezia, come tutte le città iscritte nella Lista, deve riuscire nel difficile intento di coniugare alle esigenze di conservazione del sito le esigenze legate alla condotta di tutte le attività umane che nel sito stesso normalmente si svolgono e che in molti casi non è né possibile – né auspicabile! – far cessare. Anche se, in realtà, questo è un problema che riguarda pressoché tutti i tipi di siti iscritti nella Lista (persino nei più remoti parchi naturali si danno casi di attività umane di indubbia rilevanza e potenzialmente interferenti con la conservazione del sito – come, ad esempio, l’estrazione del petrolio o dell’uranio), indubbiamente per le città è necessario elaborare un piano di gestione che integri adeguatamente il sito nella vita della collettività. Per confrontare le proprie esperienze ed aiutarsi reciprocamente, le “città del patrimonio mondiale” hanno fondato una propria Organizzazione, alla quale sono associate più di 200 città, sparse in tutto il mondo.
Gli aspetti legati all’elemento naturalistico ed alla vita cittadina mettono bene in luce l’importanza del sito di Venezia, ma, nello stesso tempo, anche la difficoltà di operare per la sua corretta ed adeguata conservazione (a tal proposito, utili elementi di spunto, con riferimento a certi aspetti che riguardano la vita della città, possono essere tratti anche dalle altre convenzioni dell’UNESCO - si pensi, ad esempio, alle “arti e mestieri” che vanno scomparendo ed alla Convenzione per la protezione del Patrimonio culturale intangibile). Va, infatti, tenuto presente che i criteri riconosciuti di iscrizione di un sito rappresentano altrettanti capitoli in cui si articola la responsabilità dello Stato di assicurare una corretta protezione, conservazione e valorizzazione a beneficio delle generazioni presenti e future. Un’iscrizione, come quella di Venezia, così ampiamente motivata, comporta dunque l’assunzione di una grande responsabilità, da parte dello Stato territoriale e dell’intera Comunità internazionale.

3. L’iscrizione dei siti nella Lista: un impegno per l’avvenire

La complessità del sito veneziano è stata, dunque, subito riconosciuta al momento della sua iscrizione. Tra le minacce più gravi da affrontare nella gestione della città, l’ICOMOS, nella sua relazione sulla domanda di iscrizione, ricorda innanzitutto quelle dovute a fattori naturali, quelle legate alla gestione del turismo, quelle legate alla “genuina vitalità” della città, che si va perdendo a causa dello spopolamento, rischiando, così, di trasformarsi in un gigantesco “museo all’aperto”.
In realtà, tutti i siti del patrimonio mondiale sono tanto affascinanti quanto fragili. Per questo la Convenzione impegna gli Stati a fare tutto ciò che possono per assicurare efficaci misure di protezione, conservazione, valorizzazione ed a rendere costantemente conto al Comitato di ciò che fanno, nonché delle trasformazioni che avvengono nei siti. L’importanza della Convenzione non finisce quando si ottiene l’iscrizione nella Lista, è, anzi, quasi vero il contrario: a partire dall’avvenuta iscrizione si è responsabili della gestione del sito nei confronti di tutti gli altri Stati che hanno ratificato la Convenzione, ed infatti il Comitato è costantemente chiamato a seguire lo “stato di conservazione” dei beni iscritti. In contropartita, però, in nome dell’ormai proclamato interesse comune alla salvaguardia dei siti, tutti gli Stati Parti della Convenzione sono chiamati a contribuire. Lo fanno attraverso varie forme volontarie di collaborazione diretta e versando dei contributi finanziari obbligatori ad un Fondo internazionale, sul cui impiego è sempre il Comitato a decidere, in base alle richieste di assistenza presentate dagli Stati.
E se si viene meno alla responsabilità che consegue all’iscrizione?
Il Comitato ha, in realtà, il compito di tenere aggiornate due Liste. Oltre alla Lista del patrimonio mondiale, esso cura anche una Lista (fortunatamente molto più breve!) in cui compaiono i siti, già iscritti nella Lista del patrimonio mondiale, che si trovano in pericolo. La situazione di pericolo è riferita, naturalmente, a quegli specifici valori che hanno motivato l’iscrizione del sito in questione, e può derivare da fattori esterni alla volontà dello Stato territoriale (terremoti, incendi, alluvioni), ma anche da interventi operati dallo stesso Stato (come, ad esempio, la poco attenta costruzione di un ponte o di un’autostrada in un luogo panoramico o l’estrazione del petrolio in luoghi e con modalità tali da mettere a repentaglio la sopravvivenza di una specie protetta). Di regola, l’iscrizione nella Lista dei beni in pericolo è richiesta dallo Stato territoriale, perché accorda priorità nell’accesso ai finanziamenti del Fondo internazionale, ma può anche essere decisa autonomamente dal Comitato, sebbene ogni sforzo debba essere fatto per coinvolgere positivamente lo Stato. Ne discende che l’iscrizione nella Lista dei beni in pericolo, se avviene a causa di azioni intraprese dallo Stato territoriale e contro la sua volontà, è una evidente “condanna”, da parte del Comitato, della linea di azione intrapresa dallo Stato nella gestione del sito.
In ogni caso, l’iscrizione nella Lista dei beni in pericolo costituisce nello stesso tempo un allarme ed una opportunità: l’allarme, “gridato al mondo”, che è necessario lavorare insieme perché il pericolo venga scongiurato e l’opportunità di usufruire dei mezzi della cooperazione internazionale per farlo. Qualora, poi, i valori che avevano giustificato l’iscrizione del sito dovessero venire meno, il Comitato non avrebbe altra scelta che cancellare il sito dalla Lista del patrimonio mondiale, evento che segnerebbe una amara sconfitta non solo e non tanto per lo Stato territoriale, quanto per tutta la Comunità internazionale. Tale evento, purtroppo, si è per la prima volta verificato nel 2007, con riferimento ad un sito dell’Oman.
Potrebbe sembrare che il Comitato internazionale si limiti a scrivere documenti, senza alcuna ricaduta effettiva sullo stato di conservazione del bene. Vero è che il Comitato non ha alcuna possibilità di effettuare direttamente interventi sul bene, se non ottiene l’appoggio dello Stato territoriale; il bene, infatti, anche se iscritto nella Lista, rimane sotto la sovranità dello Stato in cui si trova. Poiché, però, tutti gli Stati hanno interesse, se non altro per ragioni di prestigio internazionale, a non essere pubblicamente “rimproverati” dal Comitato, in genere assicurano, in modi e tempi che sono i più vari, almeno una qualche forma di collaborazione. Dall’efficacia di questa collaborazione dipende il “valore aggiunto” che la Convenzione può offrire per la salvaguardia del patrimonio culturale e naturale dell’umanità.
Ecco l’impegno per l’avvenire che gli Stati si assumono chiedendo, ed ottenendo, l’iscrizione di un sito nella Lista: predisporre, aggiornare ed attuare efficacemente, in collaborazione con il Comitato, un adeguato piano di gestione del sito stesso, in nome dell’intera umanità, ed in particolare delle generazioni future, perché possano godere di un patrimonio ricco quanto quello di cui godiamo noi oggi!

Federica Mucci



1800 - 2000 - fino ad oggi - rev. 0.1.25

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