Pianta di Venezia all'inizio del '900.

Ponte ferroviario 1846

Il porto e sul fondo i Mulini Stucky sull'isola della Giudecca

Uno spaccato della Manifattura Tabacchi.

Lavori per la costruzione dl Ponte Littorio, oggi Ponte della Libertà.

Cantiere per lo scavo del rio nuovo.

Apertura del canale di raccordo 'Rio Novo', da Piazza Roma al centro.

Panoramica dell'Arsenale sovrastato dalla grande gru idraulica del 1885. Archivio fotografico Faraone

Manufatti in ghisa - particolare di cancellata.

Manufatti in ghisa - Lampione

Primo vaporetto varato nella laguna di Venezia.

Il fenomeno dell'onda lunga.

1917. Inizio lavori per la creazione del Porto industriale di Marghera.

Veduta aerea sul porto di Marghera.
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Pianta di Venezia all'inizio del '900.


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Ponte ferroviario 1846


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Il porto e sul fondo i Mulini Stucky sull'isola della Giudecca


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Uno spaccato della Manifattura Tabacchi.


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Lavori per la costruzione dl Ponte Littorio, oggi Ponte della Libertà.


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Cantiere per lo scavo del rio nuovo.


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Apertura del canale di raccordo 'Rio Novo', da Piazza Roma al centro.


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Panoramica dell'Arsenale sovrastato dalla grande gru idraulica del 1885. Archivio fotografico Faraone


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Manufatti in ghisa - particolare di cancellata.


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Manufatti in ghisa - Lampione


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Primo vaporetto varato nella laguna di Venezia.


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Il fenomeno dell'onda lunga.


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1917. Inizio lavori per la creazione del Porto industriale di Marghera.


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Veduta aerea sul porto di Marghera.


Venezia città industriale

A differenza di quasi tutte le città di terraferma, che hanno perso le tracce della loro precoce industrializzazione perché travolte dall’espansione moderna, Venezia conserva ancora gran parte delle testimonianze del suo recente passato industriale . Nella sua crescita infatti la città si è assestata lungo i bordi lagunari, proprio laddove, attirate alla fine dell’Ottocento dalla presenza di efficienti infrastrutture ferroviarie e portuali, molte aziende si trasferivano dalla terraferma: come i trevigiani Mulini Stucky, per attrezzarsi alla Giudecca con moli e banchine, gru e aspiratori. O collocandosi a ridosso degli scali, come il Cotonificio Veneziano, garantendosi così l’approvvigionamento delle materie prime e la possibilità di accedere ai maggiori mercati esteri. O sviluppandosi sui bordi orientali e meridionali della città, alla ricerca di spazi liberi e di un rapporto diretto con l’acqua: come i cantieri a Castello, attratti dalla presenza dell’Arsenale di Venezia, vera macchina industriale ante litteram; o i tanti mulini, pastifici, birrerie, tessiture, cementifici, corderie, orologerie alla Giudecca, per la grande disponibilità di aree libere.
La crescita di Venezia negli ultimi cento anni è dovuta dunque in buona parte alle esigenze dell’industria e delle attività a essa complementari, oltre che alle contemporanee attrezzature urbane delle quali la città andava dotandosi: Macello, Officina del Gas, Acquedotto. Ed è una crescita tutt’altro che irrilevante, se si considera che le aree e i manufatti occupati originariamente da queste funzioni, ed escludendovi l’Arsenale, si estendono per 70 ettari, qualcosa come cento volte la superficie di Piazza San Marco. E si tratta non di rado di edifici imponenti, con numerosa manodopera (400 operai alle Fonderie Neville, non meno di 500 ai Cantieri Navali alla Giudecca e alla Junghans, 730 alla Saffa, più di 1.000 al Cotonificio e quasi 2.000 alla Manifattura Tabacchi) .
Fra i capoluoghi del Veneto, che sembrano accontentarsi di un consolidato ruolo burocratico-amministrativo, Venezia costituisce dunque una singolare eccezione. Rispetto alla staticità di una terraferma vivacizzata solo da isolate esperienze suburbane, e grazie ad un’accorta politica di infrastrutturazione ferroviaria e portuale già avviata dal governo austriaco, Venezia registra quella progressiva concentrazione di iniziative imprenditoriali che portano presto l’antica capitale a divenire una delle città più industrializzate del paese; con inevitabili ripercussioni sul quadro urbano e ambientale caratterizzato dal contesto lagunare.
L’industrializzazione di Venezia è peraltro il risultato di un processo che si svolge per più di un secolo, anche se i complessi industriali di maggior portata vengono realizzati nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, o nei primi anni del Novecento. Nella fase immediatamente precedente, vi è la presenza di aziende di piccola dimensione, distribuite abbastanza uniformemente nella città, spesso ubicate all’interno di edifici preesistenti, senza ancora una specializzazione produttiva per zone, se si eccettua la concentrazione vetraria a Murano. Ma presto si assiste alla progressiva localizzazione di aziende più grandi e con un più elevato grado di specializzazione nelle aree periferiche, soprattutto nell’arco occidentale della città; vi sono attirate dalla presenza delle infrastrutture ferroviarie e portuali, oltre che da una minore resistenza del tessuto edilizio e lagunare a ospitare i nuovi impianti produttivi.
Così la città, che pure aveva avuto all’Arsenale e a Murano due precoci anticipazioni di vere e proprie città-fabbrica, si infittisce lungo i suoi bordi di ciminiere, gru, coperture di ferro e vetro, edifici rosseggianti di mattoni, scali e banchine, animati dal movimento quotidiano di navi, chiatte, vagoni ferroviari, merci, operai. E vi si manifesta un nuovo inedito paesaggio: sul bordo settentrionale della Giudecca, sulla nuova isola di Sacca Fisola, sulle aree occidentali dove sorgeranno il Porto Commerciale e la Stazione Marittima; e più in là sulle sacche di Cannaregio, fino all’espansione ottocentesca dell’Arsenale e dei cantieri fra San Pietro e Sant’Elena. E’ un paesaggio tipicamente industriale per alcuni suoi inequivocabili ingredienti, ma che non rinnega i caratteri peculiari dell’ambiente lagunare. Da qui si infiltra verso l’interno, dove trova l’insormontabile resistenza del tessuto più antico: ma nelle smagliature, dove riesce a penetrare, alla Giudecca, a Cannaregio, a Santa Marta, genera una singolare commistione; per cui muovendosi in queste zone si assiste ancor oggi alla sorprendente sequenza di immagini dovute all’accoppiamento della trama veneziana -canali, fondamenta, architetture minori e palazzi, chiese, campi e sottoporteghi- con gli elementi della manifattura.
È un paesaggio che si arresta qui, lungo i bordi; ma non si era escluso, almeno per un momento, che potesse penetrare fino al cuore della città: ne è la prova l’insistente progetto di portare la ferrovia al centro, prima lungo la fondamenta delle Zattere fino alla punta della Salute (progetto Jappelli, 1850), poi lungo il bordo meridionale della Giudecca fino a San Giorgio (progetto Lavezzari, Romano, Saccardo, 1868); e la ricorrente formulazione di ardite proposte per la “modernizzazione” della città: come quella di collegarvi l’isola della Giudecca con un tunnel subacqueo, o di scavalcare le Mercerie con un ponte aereo da San Marco a Rialto.
Del resto, l’industria penetra per altre strade nella città, che si arricchisce di mano in mano dei prodotti della manifattura: ponti in ferro, come quelli ottocenteschi sul Canal Grande all’Accademia e agli Scalzi poi demoliti, e nuovi elementi di arredo in ghisa, fanali, ringhiere, parapetti . E lo stesso vale per gli spazi acquei, fino ad allora dominio assoluto del materiale marino per eccellenza, il legno: vapori al posto di velieri e vaporetti invece di traghetti, motoscafi piuttosto che gondole, solcano sempre più intensamente canali e bacini punteggiati di pontili fatti a loro volta di ferro e vetro.
Venezia al contempo assiste, per un insieme di iniziative minori più che per pochi interventi di rilevante portata, a una vera rivoluzione funzionale per adeguarsi al nuovo ruolo produttivo: il collegamento ferroviario con la terraferma, l’apertura di Strada Nuova, la formazione della “city” fra Rialto e San Marco, l’esasperazione della pedonalizzazione con i numerosissimi interramenti di rii e canali e la costruzione di nuovi ponti, e la realizzazione delle attrezzature urbane più importanti, come il Macello, l’officina del Gas, e l’acquedotto. E infine il porto, segno che la presenza dell’industria agisce anche fuori della città: le esigenze della nuova navigazione a vapore inducono infatti l’escavo dei canali fino alle bocche di porto e poi la realizzazione delle dighe al Lido e a Malamocco; e presto si porrà mano allo scavo del canale verso la terraferma, che favorirà di li a poco la nuova avventura di Porto Marghera .
L’operazione Marghera nasce infatti a partire da Venezia, sull’onda di una domanda crescente di nuovi spazi per attrezzature portuali e impianti industriali in quella che appare già alla fine dell’Ottocento come una delle più promettenti concentrazioni produttive del paese. E infatti allo scadere del secolo tutta la parte della città insulare che si protende a ovest verso la terraferma ha cambiato completamente funzioni e aspetto, arricchendosi di infrastrutture e manufatti tipici di una vera e propria periferia portuale e produttiva, richiamati in quella parte della città dalla presenza del terminal ferroviario. Al posto dell’incerto e naturale confine con la laguna costituito dalla lingua di case e di terre lungo la “spiaggia” di Santa Marta, del vasto e deserto triangolo dell’ex Campo di Marte, sorgono infatti con rapida successione le attrezzature della Stazione Marittima (in funzione dal 1880): con i due moli e il bacino interno (realizzati sulla base delle indicazioni fornite nel 1867 dalla Commissione Paleocapa), separati dalla città dal Canale della scomenzera, ma uniti alla Stazione ferroviaria dal ponte in ferro sulla testata occidentale del Canal Grande; dove si installano subito magazzini, tettoie, gru, silos e, a partire dagli anni ‘90, le cisterne del deposito petroli qui trasferite dalla precedente ubicazione di Sacca Sessola.
Da questo forte nucleo portuale partono successivi sviluppi: verso est, cioè in direzione della città, le attrezzature del Punto Franco (in funzione dal 1892) e dei Magazzini Generali (1896), a occupare le banchine sulla parte terminale del Canale della Giudecca, a loro volta presto serviti da raccordi ferroviari che percorrono il nuovo ponte in ferro sul Canale della Scomenzera; e presto seguiti da attività produttive vere e proprie e da attrezzature urbane che occupano le aree disponibili fino ai margini della città: come il Cotonificio Veneziano (in funzione dal 1883) fra il Punto Franco e i Magazzini Generali, l’Officina del Gas nel vasto triangolo dell’ex Campo di Marte; e l’Acquedotto, nella vicina zona di Sant’Andrea (inaugurato nel 1884), rifornito dalla nuova condotta sub-lagunare proveniente dalla terraferma, quindi spingendosi fino a toccare la precedente Manifattura Tabacchi, allora una delle più importanti industrie della città.
Si viene così a formare un imponente complesso di attrezzature che si prolunga ulteriormente fino a chiudere completamente il bordo occidentale della città: verso nord, a Cannaregio, oltre la stazione ferroviaria, con i complessi produttivi della Saffa, dei Mulini Passuello e Provera e delle aziende minori successivamente occupate dalla Linetti, che invadono il vasto spazio disponibile prima del Macello Comunale; e verso sud, oltre il Canale della Giudecca, con le grandi concentrazioni produttive dei Mulini Stucky (1883) e della Distilleria Veneziana (1902) e i vasti magazzini a Sacca Fisola, poi demoliti per far posto al quartiere residenziale del dopoguerra.
Questa nuova, estesa concentrazione produttiva e di attrezzature portuali si misura in questo stesso momento con quella più antica dell’Arsenale, che sembra contemporaneamente adeguarsi alle nuove esigenze produttive e della navigazione, con la creazione (1875) del primo grande bacino di carenaggio. Ma è una struttura che ribadisce la propria specializzazione militare, sia pure con il mantenimento di livelli produttivi e di occupazione ancora assai elevati (nel 1887 vi lavorano complessivamente 3851 operai), rinunciando deliberatamente a trasformarsi in una più articolata struttura produttiva fatta di cantieri e officine, secondo la tesi che altri in quello stesso momento andavano propugnando. Oltre a ciò, la sua ubicazione a occidente della città, sia pure avvantaggiata dalla realizzazione delle opere portuali che nella seconda metà degli anni ‘90 consentivano alla vicina bocca di porto di San Nicolò del Lido dì rientrare in attività, risulta ora decentrata rispetto alla concentrazione di infrastrutture che caratterizza oramai il bordo orientale, favorita dalla indispensabile presenza della ferrovia.
Inevitabile quindi che dall’arco orientale partissero le direttrici per la nuova espansione portuale: e infatti lo scavo del canale navigabile in direzione di Marghera si inserisce nel quadro dei lavori di ampliamento delle attrezzature portuali che si susseguono all’inizio del secolo e che nelle formulazioni originarie (progetti Petit, 1902 e Rossi e Cucchini, 1903), intravedono nella vicina barena dei Bottenighi (meno di 4 chilometri in linea d’aria dalla Marittima) la possibilità di ampliamenti futuri del porto, senza limiti e con la facilità di ottenere più efficienti raccordi ferroviari dalla stazione di Mestre. E’ l’esordio di Porto Marghera, e dunque della moderna inedita città di terraferma.



Franco Mancuso


1800 - 2000 - fino ad oggi - rev. 0.1.37

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