I giardini Papadopoli. Archivio fotografico APT di Venezia.

Via Eugenia, oggi Via Garibaldi - Archivio fotografico APT di Venezia.

Sede veneziana della Fonderia Neville costruttrice del ponte di ferro.

La nuova viabilià pedonale e acquea.

Il Molino Stucky alla Giudecca.

Le nuove case popolari.

Case padronali in zona periferica.

Il palazzo della prima Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia.

Impianti di Porto Marghera.

Immagine del ponte Littorio.
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Sede veneziana della Fonderia Neville costruttrice del ponte di ferro.


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La nuova viabilià pedonale e acquea.


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Il Molino Stucky alla Giudecca.


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Le nuove case popolari.


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Il palazzo della prima Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia.


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Impianti di Porto Marghera.


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Immagine del ponte Littorio.


Venezia moderna

Con il passaggio al secolo XIX Venezia non è più capitale; ha perso da tempo la sua ragione economica, ed il proprio potere politico si è progressivamente annullato. Caduta la Repubblica, non è che una tessera del vasto mosaico che ha vertici e coordinate nei grandi schieramenti europei.
La vicenda napoleonica, breve ma così densa di eventi, lascia a Venezia i segni di un’idea lungimirante di modernizzazione, che non si conclude, ma ne alimenta vivamente il futuro: l’ipotesi di un collegamento con la terraferma, il rilancio europeo del porto, una trama di grandi attrezzature urbane e di imponenti giardini pubblici, la riqualificazione del centro. Il tutto sostenuto da concrete iniziative amministrative, come l’organizzazione per Dipartimenti (dove Venezia sarebbe stata la capitale di quello dell’Adriatico), la modernizzazione dell’amministrazione pubblica, l’approntamento del Catasto, la confisca dei beni ecclesiastici con il riadattamento di molti edifici per ospitarvi nuove attrezzature urbane. Un processo documentato dall’avvio da alcune prime iniziative concrete: come la via Eugenia (l’attuale via Garibaldi), che avrebbe costituito l’inizio del collegamento con la terraferma; o i giardini pubblici ancora a Castello, e a S. Marco al posto dell’antico granaio, o il rifacimento del fondale di Piazza S. Marco (ma, contemporaneamente, la demolizione di molti edifici, soprattutto religiosi, e la spoliazione massiccia di chiese e scuole, quella “Venezia scomparsa” che solo in minima parte si è potuta recuperare più tardi).
La vicenda austriaca spegne gli impeti di così profonde innovazioni e sposta pesi e valori a favore di altre aree: è la volta di Trieste, dove il lancio del porto è nella fase più accesa. Tuttavia, malgrado siano questi gli anni della maggiore decadenza economica e della più drammatica crisi demografica, è proprio il porto ad innescare il rilancio veneziano (l’estensione del Porto franco a tutta la città è del 1830, dopo che nel 1806 era stato istituito limitatamente all’Isola di San Giorgio Maggiore); un rilancio sostenuto ben presto dall’allacciamento ferroviario con Milano (1846), cui si accompagna la costruzione del primo ponte in ferro sul Canal Grande , di fronte alla stazione Ferroviaria (1858) – quattro anni prima vi era stata la realizzazione di quello dell’Accademia (1854) – e l’interramento di molti canali, con l'apertura di nuovi percorsi pedonali , soprattutto nelle aree più marginali della città.
Gli interventi si succedono con crescente intensità, pur nel cambiamento del quadro politico conseguente all’unificazione: nel 1865 si inaugura la stazione ferroviaria, e subito dopo (tra il 1867 e il 1871) si apre la Strada Nuova, il grande asse che da qui conduce al centro; nel 1880 è la volta della stazione marittima, che sancisce il nuovo ruolo del porto e il consolidamento del nuovo fronte portuale verso la terraferma.
La città sembra ora volersi riorganizzare puntando su tre direzioni precise: la formazione di una moderna base industriale legata al porto, la razionalizzazione del centro, e il lancio turistico, di se stessa e del litorale.
Lungo il bordo lagunare compare la manifattura, sostenuta da capitali stranieri ed attratta dalle infrastrutture ferroviarie e portuali e dalla presenza di vaste aree libere (o di terreni facilmente ottenibili attraverso l’imbonimento di sacche e barene), in una situazione proto–industriale nella quale l’insularità non costituisce ancora un fattore negativo. Un vasto aggregato di aree, capannoni, manufatti industriali, stabilimenti, binari ferroviari, banchine, gru, tipico di ogni moderna periferia, circonda presto tutto il margine occidentale della città: nell’Isola della Giudecca emerge presto la grande mole dei mulini Stuky , costruiti in più fasi alla fine del secolo XIX, ed ancor oggi emblema eloquente di questa importante stagione della città; altri manufatti industriali li seguono, mentre sul bordo lagunare a sud si installano numerosi cantieri navali, con le navi in disarmo o in attesa di riparazioni che entrano a far parte del paesaggio dell’isola. Più avanti ancora, altri quartieri popolari,  inframezzati ai resti dei ricchi giardini rinascimentali.
Alla manifattura presto si accoppia dunque la presenza dei quartieri popolari , alla Celestia, a S.Giobbe, a S.Marta, cui seguiranno quelli borghesi a S.Elena e nell’area di S.Rocco, e più recentemente quelli di Sacca Fisola. Venezia è ora una delle prime città industriali d’Italia, tanto che oggi le testimonianze di questa fase sono qui più evidenti che in molte altre, se pure in stato di abbandono, per il fatto di non essere stati assorbiti dall’espansione urbanistica della periferia, qui bloccata dalla presenza della laguna.
Contemporaneamente si pone mano alla modernizzazione del centro. Un nuovo sistema pedonale collegato ad ampi bacini acquei si sovrappone all’antico tessuto fra Rialto e S.Marco, con la presenza di banche, uffici ed alberghi: si apre Calle XXII marzo (fra il 1880 e il 1882), si razionalizza l’asse da campo S.Bartolomeo a campo Manin, si realizza la sistemazione dell’area di Bacino Orseolo. Strade larghe, demolizioni ed interramenti, una sorta di prolungamento borghese–ottocentesco della piazza S.Marco, del resto non a caso saldato al rifacimento dell’ala napoleonica effettuato solo qualche decennio prima.
Poco più all’esterno, i grandi alberghi, prima sul Canal Grande e sulla Riva degli Schiavoni e poi al Lido, testimoniano il lancio turistico di Venezia, presto sostenuto in un quadro internazionale con l’idea della “Esposizione internazionale d’arte” (La Biennale) e la sua concreta materializzazione nei padiglioni costruiti a Castello a partire dal 1922.
Ma il peso del “fronte a terra” è sempre più massiccio, alimentato dalle operazioni che nel frattempo si stanno facendo oltre la laguna: la grande zona industriale e il quartiere urbano Marghera di enfatizzano il ruolo della terraferma ed impongono un più saldo collegamento con la città insulare, cementato del resto dalla istituzione della “Grande Venezia” (1922) che riunisce in un’unica entità amministrativa Venezia, Mestre e Marghera, le isole e il litorale (con la sola esclusione di Chioggia), ed i comuni minori della terraferma intorno a Mestre.
Negli anni 1930-33 la costruzione del ponte automobilistico ne costituisce la materializzazione concreta, mentre la sistemazione di Piazzale Roma con il grande garage comunale avvia quel progressivo spostamento del baricentro funzionale di Venezia verso ovest che non si arresterà più, malgrado la contemporanea apertura di rio Nuovo che evitando la grande ansa del Canal Grande arriva speditamente all’antico centro e tenta di riproporne il ruolo.

Franco Mancuso


1800 - 2000 - - rev. 0.1.29

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